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DI QUELLA PIRA

DI QUELLA PIRA
di Franco Giardina

Ormai erano tutti d'accordo, avrebbero rinnovato la tradizione di bruciare «la strega» la sera del 5 gennaio prossimo: le favole che avevano raccontato ai bambini, le storie che i vecchi avevano detto loro quando erano piccoli, insomma tutto richiedeva che quel falò fosse fatto soprattutto per rispettare la tradizione.

Si era deciso di andare a raccogliere la maggior quantità di legna per alimentare il fuoco e perciò tutti, grandi e bambini, giovani e vecchi, si dettero un gran daffare: chi con dei grossi sacchi di plastica, stile condominiale, chi con dello spago per legare fasci di rami secchi, chi era corso a prendere una carriola, insomma tutti erano alla ricerca di legna.

Nello spiazzo dove si era deciso avesse luogo il falò, erano rimasti alcuni che, ricevendo la legna che via via arrivava, la sistemavano in una struttura di forma piramidale. Mancava poco all'estremità della pira, che era rappresentata dalla punta del palo attorno al quale era stata accatastata la legna.

Nessuno si accorse che nel frattempo erano arrivati alcuni extracomunitari, forse incuriositi da quel lavorio. «Bravi, sono contento che anche voi siate qui, unitevi al gruppo che tra poco comincia la festa. A proposito io mi chiamo Luigi e voi?» chiese uno degli organizzatori ai nuovi arrivati.

In un italiano abbastanza stentato rispose il primo: «Mi chiamo Gazbar, vengo da una zona dell'Iran; c'è ancora la guerra e spero di poter lavorare qui, sono un ingegnere aerospaziale e nel cielo ho visto segni di pace. Dimenticavo, mia madre mi disse che il significato del mio nome è "portatore di tesori"». Luigi lo guardò in modo strano, ma non chiese nulla.

Il secondo: «Io vengo da Israele e spero di tornare presto, quando anche lì ci sarà un po' di pace. Ah! Mi chiamo Melchior ed è un nome bellissimo che significa "il mio re è luce". Lavoravo in un laboratorio di ottica con mio padre».

Il terzo era un po' timido e sollecitato rispose: «Io vengo dall'Iraq settentrionale, vicino al confine con la Turchia. Mi piacerebbe avere mia moglie e i figli, in questo momento. Ma purtroppo... Dimenticavo, il mio è un nome composto: Balats'usur e significa "Dio lo salvaguardi". Ero dipendente di un laboratorio astronomico, ma qui è molto difficile trovare un'attività analoga».

«Siate i benvenuti!». E tutti iniziarono a predisporsi attorno al falò, quando uno dei tre chiese: «Ma non c‘è una coppia con un bambino piccolo, nato da poco? Mi avevano detto che la trovavamo qua, è una coppia che viene dalle nostre parti e qualcuno li aveva visti sbarcare vicino a Lampedusa, assieme ad altri profughi».

«No! Non l'abbiamo vista –risposero i più vicini a loro– però c'è un'osteria qua di lato e forse la moglie dell'oste sa qualcosa in merito. Sa sempre tutto quello che succede nel paese, figuriamoci...», e guardandosi si misero a ridere.

Quello di pelle più scura, da sembrare quasi un moro, si diresse verso l'osteria a cercare la moglie dell'oste; entrò e la vide affaccendata a lavare i bicchieri. Chissà perché, nonostante ci fosse da fare per il falò, parecchi uomini del paese trovavano il tempo di fare una bevuta.

«Scusi, signora –chiese timidamente il forestiero– io e i miei amici stavamo cercando una coppia di extracomunitari, come li chiamate voi, che dovevano essere arrivati qualche giorno fa. Eravamo assieme quando siamo sbarcati vicino a Lampedusa ed erano preoccupati di non farsi trovare e in più in attesa della nascita del figlio. Da queste parti abitava un loro lontano parente che gli avrebbe assicurato per lo meno un rifugio».

«Sì, ora mi ricordo -disse la donna alzando la testa– anche perché ho dato loro qualcosa da mangiare quando sono venuti a chiedere informazioni. Sapesse che fatica capirli perché non parlano la nostra lingua, ma dal retrobottega il mio aiutante ha sentito delle parole che conosceva ed è venuto ed ha parlato con loro, così ho potuto capire le loro richieste. Sono andati nella casa dopo il mulino, in fondo al paese, e lì abita un beduino, mi scusi, noi li chiamiamo così quelli che hanno la pelle un po' più scura della nostra, che doveva essere il loro lontano parente».

«Grazie, signora! È stata molto gentile».

Ritornò, dove c'erano gli altri due, e spiegò loro quanto gli aveva riferito la signora dell'osteria e tutti e tre decisero di andare a trovare la coppia. Dopo una leggera salita, apparve a loro il mulino e fiduciosi accelerarono il passo per raggiungere la casa: da distante si vedeva un lume che la rischiarava appena. In quel momento un grande botto annunciò che stava per essere acceso il falò e dopo pochi secondi il cielo si rischiarò per le fiamme che s'innalzarono quasi subito. Anche se erano distanti, la luce era tanta e la casa si vedeva molto meglio.

Quando furono a pochi metri, un grande bagliore si staccò dal falò e arrivò a illuminare la casa a giorno: fu solo in quel momento che si accorsero che c'erano tante persone attorno alla casa e sembrava che ci fossero anche sul tetto, forse le ombre delle fiamme danzanti davano l'impressione di entità sovrannaturali. Che strano!

Arrivarono alla porta, che subito si spalancò e la scena che apparve era di un ambiente molto luminoso e al centro del locale, una donna reggeva in braccio un bambino bellissimo che con le mani accarezzava il volto della madre. Rimasero molto colpiti da quella visione e venne spontaneo di inginocchiarsi di fronte a loro; poi entrarono, uno alla volta, e mentre il primo si tolse dal braccio un braccialetto d'oro che posò ai piedi della donna, il secondo depose una scatoletta di legno piena di essenze profumate ed il terzo un sacchetto di tela contenente semi vari. Rivolti all'uomo in piedi, dissero: «Le cose che vi avevamo promesso quando eravamo ancora sul gommone sono qui, le abbiamo conservate in tutto questo tempo; siamo contenti che tutto sia andato bene. I nostri migliori auguri».

Il mattino, chi si recò al mulino, vide una casa completamente diroccata, con i resti di quella che doveva esser una stanza dove, sotto delle travi miracolosamente ancora appoggiate a pezzi di parete, dormivano tre extracomunitari.

Franco Giardina

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