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PROVERBI VENETI E FILOSOFIA. CONSIGLI PER VIVERE BENE [di Marino Rama]

Copertina proverbi 350pxI proverbi veneti sono un distillato di vite vissute, tramandato di generazione in generazione, per dare un orientamento alle nostre esistenze. Anche la filosofia è la ricerca di una verità che edifica e la vera riflessione filosofica si fa carico delle sofferenze, degli interrogativi e delle invocazioni dell'uomo.
Ognuno di noi, nella vita, si pone domande filosofiche: chi sono? Dio esiste? Perché la vita è dolore? Che cosa possiamo sperare? Qual è il bene che posso realizzare? Per questo i proverbi e la filosofia hanno molte cose in comune e rivelano sorprendenti affinità su alcune questioni fondamentali come l'amicizia, il dolore, la morte, la religione, la speranza, il destino.

Questo libro mette a confronto la saggezza popolare con il pensiero dei grandi filosofi, da Platone a Kant, da Aristotele a Lévinas, da Seneca a Ricoeur. La ricerca filosofica non ci garantisce un possesso tranquillo e definitivo della verità ma può illuminare il nostro cammino e aiutarci a vivere bene.

MARINO RAMA è stato docente di filosofia e storia presso il Liceo "Enrico Medi" di Villafranca di Verona. È stato assessore e vicesindaco nel Comune di Sommacampagna (VR). Ha tenuto numerose conferenze di filosofia e storia in Comuni e Associazioni culturali della provincia di Verona.
Nel 2019 ha pubblicato «Un lancinante dolore: il misticismo di Giuseppe Rensi» in «Studiosi del Comprensorio di Villafranca di Verona» a cura di Ezio Filippi.


Titolo: «PROVERBI VENETI E FILOSOFIA»

Sottotitolo: Consigli per vivere bene
Autore: Marino Rama
Pagine: 192
Formato: 14 x 21 cm
Editore: Casa Editrice Mazziana
Edizione: Novembre 2024
ISBN: 978-88-97243-44-1
Prezzo di copertina: € 18,00

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UN DIALOGO TRA FILOSOFIA E CULTURA POPOLARE, PER POTER VIVERE BENE [di Paolo Bertezzolo]

In una forma piana e chiara questo libro affronta tutti i temi “forti” che riguardano il nostro vivere e noi stessi. L'Autore, già docente di storia e filosofia nei licei, compie un’operazione culturale ragguardevole, comparando la cultura popolare, espressa nei proverbi, con il pensiero filosofico dall’antichità ai nostri giorni. Potrebbe sembrare un azzardo. Fino a quando nel nostro Paese si è mantenuta l’egemonia del pensiero idealistico sarebbe stato impossibile considerare la cultura popolare al livello di quella accademica. Rama invece si spinge proprio in questa direzione, senza la pretesa di idealizzare la prima e senza considerare la seconda come l’unica detentrice di un sapere verificato e giustificato in grado anche di “orientare” la vita.

«Pensare con la propria testa significa innanzitutto accettare che altri hanno pensato prima di noi, poi conoscere quello che hanno detto – perché magari hanno avuto la pensata giusta – infine sottoporre a critica rigorosa e mettere alla prova questi pensieri» (p. 13). Questo vale certamente per il pensiero filosofico ma, sostiene Rama, anche per quello espresso nei proverbi del popolo. «Ebbene» afferma, «i proverbi veneti hanno esattamente questa caratteristica: sono la sintesi di un pensiero storicamente e geograficamente determinato, frutto però dell’esperienza di generazioni, un distillato di vite vissute tramandato ai posteri per indicare una via, un punto di riferimento, ovvero per dare un orientamento nell’esistenza, in modo da viverla felicemente o il meno infelicemente possibile» (p.13).

Ponendo la cultura popolare a confronto con la tradizione filosofica dell’Occidente, Rama compie un tragitto opposto a quanto da qualche decennio sembra affermarsi a causa di certo populismo che, per contrastare la cultura delle cosiddette élites, dimentica Goldoni, Palladio, Tiepolo, sostituendoli con la festa della pearà.

Niente da dire, certo, su tale tipo di feste. Anzi. Quel che non può andare è che si riduca a questo la tradizione culturale della nostra terra. Il libro di Rama mostra quanto rilevante sia non perdere l’una e l’altra dimensione. Entrambe convivono in lui: «I proverbi veneti» afferma «sono stati una traccia e quasi un pretesto per riassumere le idee che mi hanno accompagnato nella vita – nate dalle letture e dagli incontri con le persone – e messe alla prova nel travaglio dell’esistenza» (p.5).

Il libro è ordinato per temi, ciascuno dei quali ne costituisce un capitolo. È sufficiente percorrerne alcuni per rendersi conto dell’intento dell’Autore, che egli indica nel sottotitolo del libro: Consigli per vivere bene. La “speranza”, valore difficile ai nostri giorni, viene illustrata a partire dalla concezione che ne aveva il mondo greco per passare a quella annunciata dal cristianesimo e finire con l’idea che se ne ha nel ‘900. L’ultimo pensatore citato è Emil Cioran: «Ci troviamo nella situazione degli ultimi pagani. Vediamo che stiamo per perdere tutto, che forse abbiamo già perduto tutto, che non ci resta un briciolo di speranza, che non possiamo neanche lontanamente pensare alla speranza» (pp. 49-50).

Questo “pessimismo” del pensiero contemporaneo è ben presente nei proverbi veneti: fatto sorprendente, dato che si sono sviluppati in una società “cristiana”. La speranza cristiana sembra non compresa: «La speranza xé ‘l sogno dei disdissiè», cioè degli sfortunati, apprendiamo da un proverbio che ce la presenta addirittura come più negativa di un illusione.

Come orientarci allora? Senza speranza non si può vivere. Il pensiero greco e, soprattutto, quello cristiano, lo sanno bene. Il mito di Prometeo ha, tra l’altro, proprio la funzione di dare speranza agli umani che Agostino di Ippona fonda, molto più tardi, sulla resurrezione di Cristo: «Tutti gemiamo andando incontro alla morte; ci ha consolati colui che è morto perché non avessimo più paura a morire. È risorto per primo, per metterci davanti agli occhi la speranza» (p. 46).

«Tuti i gusti i xe gusti, gh’era anca quel che ciuciava ‘n ciodo» (tutti i gusti sono gusti, c’era anche quello che succhiava un chiodo) afferma il proverbio che introduce il capitolo sul relativismo. Ognuno può avere i suoi “valori”, dato che non esistono valori universali validi per tutti. Questo relativismo morale è parte di un’altra condizione tipica dei nostri giorni, ma presente già nell’antichità nella filosofia dei sofisti. Per molti il relativismo è garanzia della tolleranza
e della democrazia. Ma «per vivere insieme è necessario avere alcuni valori condivisi e validi per tutti altrimenti non esistono né società né legge: possiamo tollerare il nazismo, l’antisemitismo, la pedofilia e il traffico degli organi?» si domanda Marino Rama (p. 56), ricordando un’affermazione di Claudio Magris secondo cui il relativismo di questo tipo non ha nulla a che vedere col rispetto laico dei diversi valori altrui che comporta il fermo proposito di contestarli “rispettosamente ma duramente” in nome dei propri. La verità esiste, aggiunge l’Autore, e proprio per questo ha senso la ricerca filosofica ed esistenziale. Nessuno però può pretendere di possederla né definitivamente né completamente. Se, poi, non è possibile dimostrare le verità universali, c’è un modo per affermarle ed è quello della testimonianza. Ce lo dice l’Antigone di Sofocle. Antigone disobbedisce all’ordine del re di lasciare insepolto il corpo del fratello Polinice perché si era ribellato divenendo nemico della città. La sua disubbidienza è compiuta in nome di leggi non scritte, volute dagli dei, che vivono sempre. Sono le leggi dell’umanità, che precedono e superano quelle “relative” volute dal tiranno. È una scelta coraggiosa quella di Antigone che, come sappiamo, le costa la vita.

Ma come potrebbero legge e giustizia stare in piedi, come potrebbe esistere la città, lo stato, se la verità fosse solo quella che ciascuno si costruisce da sé?
Certo, nessuna parola umana, nessun ragionamento umano, può definire la verità. Il dubbio, dunque, è necessario per difendersi dal dogmatismo. Ma chi si ferma al dubbio senza mai giungere ad alcuna verità, seppure momentanea, rimane inerte di fronte alla realtà. Come sosteneva Platone, la filosofia è un rendere ragione delle proprie opinioni.

Ecco, dunque, quello che occorre: «ogni opinione dev’essere sottoposta a elenchos cioè a dimostrazione, nella fatica del dialogo» (p.58). Criteri preziosi, questi, nella nostra epoca in cui dar ragione delle proprie opinioni e confrontarsi in un dialogo onesto con gli altri sono troppo spesso sostituiti da una sfrontata affermazione di sé. Ma se sappiamo guardare con onestà e semplicità dentro di noi, ci accorgiamo di ciò che è “fuori posto”, sbagliato (come non ricordare, per immediata associazione di idee, «Il paese sbagliato» di Mario Lodi? Accorgersi che qualcosa è sbagliato è la condizione per cercare e trovare quel che è “giusto”). Accorgersi di questo è segno che in noi la “verità” è presente e appare. È ciò che è e dove deve essere, perché così è bella e ci affascina.

La sapienza antica aveva colto il problema di un “relativismo” totale. Platone, sulla sia del suo maestro Socrate, lo contesta alla radice nelle posizioni di Gorgia, forse il maggiore dei sofisti che sosteneva esserci solo opinioni ed è quindi impossibile raggiungere una verità oggettiva. Vero è solo ciò che viene creduto da ciascuno. Si tratta di un’idea che ha conseguenze gravi sul piano politico. Apre infatti la strada al demagogo. Adulatore delle folle, cerca il loro consenso dicendo quello che vogliono sentirsi dire. Oggi lo definiremmo populista. Egli stimola con le sue menzogne la speranza di una vita migliore, promette ciò che è irrealistico: la creazione dell’impero, la riduzione delle tasse, un milione di posti di lavoro, la pensione anticipata, la protezione dagli invasori. È sorprendente per la sua attualità il ritratto che ne fa già Platone nella Repubblica: «Forse che nei primi giorni e nei primi tempi non saluterà con ampi sorrisi tutti quelli che incontra, e non negherà di essere tiranno e non prometterà mari e monti in pubblico e in privato? E poi non annullerà i debiti, non spartirà la terra fra la gente del popolo e fra i suoi uomini, e non si mostrerà a tutti benevolo e disponibile?». Ma in seguito «quando coi nemici esterni in parte è sceso a compromessi e in parte li ha distrutti, e nei loro riguardi non ha più nulla da temere, la prima cosa che farà è quella di suscitare continui conflitti perché il popolo abbia sempre bisogno di una salda guida» (p. 66).

«Ci no gà giudizio, no g’abia lengua, dove ghe vole i fati le parole no basta» (Chi non ha giudizio non usi la lingua. Dove ci vogliono i fatti le parole non bastano) è il commento che si trae da un proverbio. Diversi altri, sempre a proposito di questo problema, sono citati nel libro di Marino Rama, come: «Co la parola se governa il mondo» (p. 61). Commenta, con un velo di amarezza, l’Autore: «Chiunque ha sentito in sé la vocazione alla politica, proverà anche la tentazione di ritirarsi dall’Assemblea, che non vuole sentire discorsi di verità ma che segue l’incantatore di turno, il persuasore che la condurrà alla rovina» (p. 68).

Si può proseguire con le citazioni, attirati dalla loro capacità di coinvolgerci profondamente, riguardanti la fede, la religione e la morale, il rapporto tra Dio e la storia (formidabile il proverbio che, a questo proposito, afferma: «Tuto vien da Dio ma le bote vien da ci le dà», che nella concretezza tutta popolare esprime una concezione dell’onnipotenza di Dio che si è fatta lentamente largo nel pensiero contemporaneo, in particolare dopo le grandi tragedie che hanno insanguinato il nostro tempo) il tema della morte e della resurrezione (per scoprire che nei proverbi veneti non sono penetrate né la concezione dell’immortalità dell’anima né quella delle resurrezione, su cui si basa la fede cristiana e la cultura dell’Occidente) e così via. Ma è meglio lasciare al lettore questo piacere.

La chiave per interpretare il libro ci si mostra nell’introduzione e nella conclusione, che si completano e vanno quindi tenute presenti insieme. Vi è espresso l’“insegnamento” dell’Autore, quello che ha saputo trasmettere ai tantissimi giovani che sono stati suoi allievi e che costituiscono la ragione per cui ha scritto questo libro: non si può pretendere di «costringere la complessità della vita entro uno schema definito e coerente» però, nello stesso tempo, occorre cercare di trovare alcune indicazioni pratiche che ci aiutino a “vivere bene”, pensando con la propria testa. La nostra riflessione non può essere disgiunta dalla vita. La filosofia non è un astratto esercizio accademico, non è una costruzione logica e oggettiva che neghi le sofferenze del divenire, dell’essere corpo, del vivere individuale dentro una comunità. «Noi siamo venuti all’essere dentro un mondo vasto, misterioso, affascinante [...]: viene prima di noi e noi lo riconsegniamo al futuro, più bello, più giusto, più vero» (p. 185). In questo deve stare il senso della nostra vita. La “cultura”, il pensiero, nella sua forma “completa” di saggezza popolare e riflessione mediata e razionale, ci aiutano a capirlo.

(Recensione pubblicata sul n.4 Novembre-Dicembre 2024 di «Note Mazziane», pp.240-242)

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