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HO UN SOGNO

HO UN SOGNO
di Franco Giardina

La classe di Sergio era composta di venticinque bambini dal diverso colore della pelle: c'erano i visi pallidi, i volti rosati, i gialli, quelli dalle diverse gradazioni del nero, gli ambrati.
La maestra era una signora di mezza età, vicina alla pensione. Una feroce assertrice della integrazione più spinta. Per lei i bambini erano tutti uguali: creature in fase di crescita, cui sviluppare tutte le capacità espressive e culturali. Aveva anche istituito delle lezioni di musica: le piaceva il flauto che, secondo lei, era uno strumento semplice che permetteva di avvicinarsi alla conoscenza delle note e alla composizione ed esecuzione di facili brani musicali.

Quel giorno gli alunni dovevano svolgere un componimento breve, cosa particolarmente sgradita: l'italiano era la bestia nera delle materie. La maestra, quando mancava mezz'ora al suono della campana, disse: «Allora bambini, il titolo del componimento è: ho un sogno. Cercate di essere spontanei e sinceri e sarete sicuri di prendere un bel voto».

Più o meno tutti si misero a scrivere: il sogno è una prerogativa dei bambini e la maestra era sicura di leggere dei componimenti interessanti.

«Attenti che mancano dieci minuti alla fine della lezione: cercate di chiudere, anche se non avete completato tutto».
La campanella suonò; uno per volta i bambini consegnarono il loro foglio; e tra un vociare allegro e qualche viso immusonito, uscirono dall'aula.
La maestra prese i compiti e se ne andò a casa. Nel pomeriggio iniziò a leggerli, dopo aver scelto a campione uno per ogni "colore" di bambino.

Scrive João, figlio di brasiliani residenti da qualche anno in Italia: «Mi piace tanto sognare; ma «ho un sogno» che faccio spesso: tornare nel paese dei miei genitori e mangiare tanti frutti come quelli che ci sono al supermercato, però presi direttamente dalla pianta. E poi vedere quei meravigliosi fiori che in qualche documentario sul Brasile si vedono in abbondanza; hanno dei colori fantastici. C'è anche il Carnevale che credo che là sia diverso: l'anno scorso ho visto una sfilata di carri che si è svolta nella mia città; ma non mi è piaciuta per niente. E poi si balla e a me piace ballare».

Yasmine, bambina egiziana con due occhi neri e profondi, venuta con la madre in Italia due anni fa, ha scritto: «Io ho un sogno grande, grande: mi piacerebbe che il mio papà fosse qui con noi. Vorrei che venissero anche i nonni ai quali voglio molto bene. Se mia nonna fosse qui, mi farebbe il Felafel che mi piace tanto. Poi mi mancano delle amiche con cui giocare e parlare la mia lingua. L'italiano è bello ma è così difficile ed ho sempre l'impressione che non mi capiscano».

Il componimento di Sergio: «Tutte le volte che spiego a mia madre i miei sogni, lei mi dice che sono frutto della fantasia e che non bisogna credere ai sogni ma si devono tenere i piedi per terra. Ma non le ho mai detto che «ho un sogno» speciale: mi piacerebbe un fratellino o anche una sorellina, così non mi starebbe sempre addosso con continui attento qua, devi fa questo, lavati bene, studia. Uffa! E poi ho anche la play-station che sarebbe al massimo da giocare in due: il mio papà non ha mai tempo per giocare con me e non sempre i miei amici sono disponibili».

Mustafà, figlio di due marocchini: «Il mio sogno è quello di diventare dottore e poi tornare in Africa. Mi sembra giusto aiutare quelli che soffrono e stanno male. Qui in Italia ci sono tanti dottori e tanti ospedali mentre là ce ne sono così pochi che tanta gente muore. E poi farei pagare a quelli che hanno i soldi mentre ai poveri lo farei gratuitamente; d'altronde se loro riescono a vivere, anche se non hanno tanti soldi, posso farlo anch'io».

Shao-li è una graziosa cinese, piccola e vivace: «Sono nata in Italia ma è difficile giocare con gli altri bambini perché mi vedono diversa. Io invece non li vedo diversi, anche se hanno il colore della pelle differente e gli occhi più tondi; però sono bambini come me cui piace giocare e sognare. Il mio sogno è che i miei genitori abbiano degli amici con dei figli in modo che possa giocare con loro. Mi piacerebbe visitare la Città Proibita di Pechino per immaginarmi la corte dell'imperatore. Mi piacciono i costumi tradizionali perché hanno dei colori e dei disegni fantastici».

Scrive Krishan: «L'India è un paese bellissimo, quasi come l'Italia. Ci sono molti monumenti ma anche molti animali che qui non ci sono. «Ho un sogno»: andare su un elefante a caccia della tigre, senza però ucciderla, io amo molto gli animali e mi piacerebbe avere un gatto, magari con il pelo giallo e lo chiamerei il mio piccolo tigrotto».

Raymond è un bambino nigeriano, con due occhi profondi e un sorriso che mostra dei denti bianchissimi: «Io sono venuto in Italia quando nel mio paese è cominciata la guerra. Sono stato fortunato perché i miei genitori hanno avuto la possibilità di fuggire altrimenti sarei morto, forse. Il mio sogno sarebbe di tornare, anche per vedere chi è rimasto dei miei parenti dei quali non ho nessuna notizia. Ho visto alla televisione dei posti bellissimi e nel mio sogno ci sono i miei nonni che abitano in questi posti. Non è che sto male in Italia, ho molti amici, non solo nigeriani, ma il desiderio è grande, vedere come sarebbe stata la mia vita là».

Laura, bambina della Romania, scrive: «La mia mamma vuole che venga in una scuola italiana così domani potrò trovare un lavoro qua. Lei ha avuto fortuna di incontrare una persona vecchia che le dà il lavoro e quando torna a casa la sera è molto stanca. Non mi dice perché. Il mio sogno è piccolo perché quando ero in Romania, la mamma mi diceva che era meglio non sognare tanto non cambiava nulla; perciò vorrei una bambola, non ho mai avuto giocattoli e non ho avuto un papà che potesse regalarmela».

La maestra si fermò un attimo prima di procedere e trasse un profondo sospiro e pensò che ci fosse ancora molto da fare.

Ivan, ragazzo moldavo, scrive: «Sono venuto in Italia perché c'era la mamma, ma quando sono arrivato lei non c'era più: nessuno mi dava delle spiegazioni finché una donna gentile mi ha detto che era stata uccisa su una strada. Ho pianto parecchio ed ho sognato di morire anch'io così potevo riabbracciarla. La signora, però, mi ha accolto in casa sua ed ho cominciato a sognare una vita più serena, dove non ci siano i cattivi ma solo le persone buone come quella che ho incontrato».

Serena è una ragazzina molto timida e introversa: «Il mio sogno è che i miei genitori tornino a vivere insieme come l'anno scorso: eravamo felici allora e ora sono molto triste. Sogno ancora che la mia mamma mi legga una fiaba alla sera prima di dormire, ma non c'è nessuno. Sono stata accolta in una casa, dove ci sono altri bambini che come me non sono felici: alcuni di loro continuano a piangere, soprattutto la notte. Ogni tanto vengono a trovarmi delle persone che sperano di farci sorridere con dei dolci e dei giocattoli. Ma quando finisce il dolce resta solo l'amaro della solitudine».

Gli occhi della maestra, che conosceva le singole situazioni, si riempirono di lacrime e il suo sogno, in quel momento, era che al mondo non ci fossero né delle ingiustizie né della cattiveria bensì un po' più di amore.

Franco Giardina

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