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LA MOSTRA DI SALGADO

LA MOSTRA DI SALGADO
di Franco Giardina

«Papà, mi dai dei soldi per un video-gioco?». Sentii questa frase passando accanto ad un bambino di circa 10 anni davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli. Il papà gli rispose, ma non capii e vidi che il bambino si allontanava con lui. La strada era piena di persone infreddolite e indaffarate. Si avvicinavano le feste natalizie e tutti erano presi dalla frenesia dei regali, dal cenone, dalle feste. Io procedetti dirigendomi verso il palazzo che ospitava la mostra di un fotografo famoso per le immagini sulla povertà; ne avevo sentito parlare durante la permanenza in Brasile, dove visitai una sua mostra dal «Other Americas», frutto di sei anni in America Latina. Ero molto curioso di vedere la sua ultima produzione nella mostra «Ritratti di migranti in cammino».

Entrai. Non c'era molta gente, vista l'ora e il giorno feriale. Seguii il percorso indicato e mi soffermai a lungo davanti ad ogni immagine: occhi di bambini tristi, accanto a vecchi uomini e donne anziane dalle braccia scarne, bambini operai sfiniti dallo sforzo lavorativo, stazioni gremite di poveri, panorami di terre aride per la siccità nei quali si stagliava una massa di persone sofferenti in cammino. Su tutte le fotografie aleggiava un'aria di afflizione e tristezza, di dignitosa povertà e malcelata rassegnazione, di rabbia evidente. Una stretta al cuore mi fece pensare a quanto c'era ancora da fare nel mondo per una giustizia universale.

Mi guardai attorno per cogliere le espressioni dei visitatori e notai il disagio che queste immagini provocavano nelle persone: un disagio misto a impotenza nel risolvere le situazioni paradossali visualizzate. Alcuni lasciavano velocemente scorrere lo sguardo, altri brontolavano esprimendo dubbi sulla genuinità. Ero quasi al termine della mostra quando scorsi in un angolo il bambino di prima che parlava con suo padre; mi avvicinai per cogliere alcune impressioni e sentii stralci delle considerazioni del piccolo:
«Si, ma non vanno a scuola?». «Ma non mangiano?». «E tutti quegli uomini pieni di stracci e pieni di polvere...». «Perché noi abbiamo tutto e loro invece no?». Avrei voluto intervenire, ma mi trattenni e pensai alle miserie che esistono al di fuori dei nostri confini delineati dall'individualismo e dall'egoismo. Non osai pensare che cosa il padre gli avesse risposto, ma invece ritenni che proprio in occasione delle feste sarebbe stato giusto sensibilizzare maggiormente la popolazione locale e ampliare un po' l'orizzonte. La perplessità era trovare lo strumento più adeguato. Un mio amico lavorava in una grande agenzia pubblicitaria e decisi che forse era il caso di parlare con lui. Non è che la sensibilizzazione produca sempre gli effetti desiderati. Speravo in qualcosa di positivo, almeno una frustata alle coscienze e forse ai grandi sensi di colpa.

Non c'entrava la religione, che aveva una sua connotazione ben precisa: restava il fatto che l'esteriorità delle feste soppiantava lo spirito che in origine le aveva fatte nascere. É vero che in occasione del Natale si riscoprono valori e si accendono interessi che durante il resto dell'anno sembrano assopiti o addirittura assolutamente non considerati. È soltanto un esempio, ma era ormai divenuta banale consuetudine riunirsi in famiglia per consumare abbondanti pasti, scambiarsi doni, addobbare l'albero o preparare il tradizionale presepe. Si gioca a carte, a tombola e, per i più mondani, si va a ballare e si fa tardi la sera. E per quelli che possono permetterselo, si va in montagna a sciare. In alcuni casi, non era forse pura ipocrisia quella che si doveva manifestare in questa particolare ricorrenza? Per fare un esempio, lo scambio dei fatidici auguri di Natale e degli affettuosi abbracci-baci che forse mai in precedenza si erano offerti o ricevuti.

Con queste riflessioni, dal momento che ero libero, andai a trovare il mio amico nel suo ambiente di lavoro. Visto il periodo, lo trovai disponibile ad ascoltarmi. Fu abbastanza sorpreso della richiesta, però era sostanzialmente d'accordo con me. L'unica perplessità era lo scarso tempo a disposizione e questo avrebbe determinato, a priori, alcuni tipi di scelte. Improvvisamente venne fuori una soluzione comprensiva del calendario dell'Avvento e della caccia al tesoro. Si trattava di far partire il calendario l'8 dicembre e farlo terminare la vigilia di Natale; la caccia al tesoro consisteva nel trovare la casella del calendario, una al giorno. Nella casella ci sarebbe stato un dono per chi l'avrebbe trovata per primo e una donazione ad un'associazione benefica o umanitaria.

La partecipazione poteva essere individuale o a squadre composte da cinque persone di cui una o più di nazionalità. La quota di partecipazione fu stabilita in beni di valore non inferiore ai 5 euro. Se il partecipante ne era privo poteva comprare qualcosa di utile negli stand allestiti dalle associazioni di volontariato presenti al punto di partenza. Fu preparata una bozza da sottoporre alle autorità per le autorizzazioni del caso. Lasciai al mio amico la stesura del volantino e dei cartelloni pubblicitari, mentre io avrei provveduto a stilare una lettera di richiesta beni alle varie aziende del territorio. E una per le varie associazioni. Chiedendo l'approvazione del progetto e la disponibilità partecipativa.

Nel giro di due giorni ricevemmo il beneplacito e l'adesione di quasi tutte le associazioni. Mancavano due giorni e dovevano essere sufficienti per le azioni di volantinaggio e la preparazione dei percorsi. La sera del 7 dicembre tutto fu pronto e la mattina seguente si prospettava una bella giornata di sole invernale e non troppo fredda. Al punto di partenza ci fu una moltitudine incredibile di aderenti: i volontari, su dieci banchetti, ebbero il loro impegno per raccogliere i beni come richiesto, che depositarono in grossi contenitori. Anche gli stand lavorarono e ad un certo punto ci fu il via per la prima postazione della caccia al tesoro e trovare la prima casella dell'Avvento.

Per le vie cittadine un vociare allegro e composto stupì i cittadini che nel giorno di festa passeggiavano o si recavano a messa. Non ci furono né disordini né inconvenienti e un particolare ringraziamento andò alle forze dell'ordine gentili e disponibili nel dare le indicazioni. Chi raggiunse per primo a trovare il primo tesoro, raggiunse anche la casella, ricevette un dono, singolo o uno per ogni componente, se era un gruppo, consegnato da una gentile hostess che svelava, poi, il regalo per l'associazione beneficiaria.

Nei giorni successivi e non festivi, le prove si sarebbero svolte il pomeriggio e i partecipanti erano gruppi di scolaresche e qualche individuo singolo, compresi turisti italiani e stranieri. Prima le televisioni locali poi quelle nazionali ripresero l'iniziativa e tutta la nazione venne a conoscenza dell'evento. Partì a quel punto una gara di sostegno all'iniziativa, con l'invio di pacchi e di soldi all'indirizzo che era indicato sui manifesti. Ebbe così inizio un particolare Telethon natalizio. Fu una vera gioia, non per il successo dell'iniziativa, bensì per la sensibilizzazione che essa seminava. E quando il giorno prima di Natale tutto terminò, ci fu una grandissima festa a sorpresa organizzata da un gruppo circense che svolgeva anche attività negli ospedali pediatrici. E da un gruppo musicale e dai mimi. Gentilmente delle famiglie, con il sostegno delle associazioni aderenti, allestirono una lunga tavolata con pizze, dolci e bevande calde. Ma la cosa più importante fu la partecipazione di molti gruppi di cittadini stranieri non comunitari, che portarono cibi tipici e si mescolarono tra i presenti tessendo relazioni con semplicità e calore. Avevamo raggiunto il nostro obiettivo.
Che 
sia stato merito anche dello spirito del Natale?

Franco Giardina

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