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LINO E LINA ESPLORANO

LINO E LINA ESPLORANO
di Maria Grazia Leo

L'amica Lina si era messa in testa che se avesse trovato il modo di fare tutto per benino, ordinare la camera, fare i compiti, stare in armonia insieme ad amici ed amiche, avrebbe raggiunto la felicità, una fatica in vista di una ricompensa. Ne parlò con Lino e cominciarono a fare progetti. Il Regno delle Cose Ben Fatte, il luogo che fantasticavano di visitare, era accessibile attraverso un muro di cinta lungo lungo e alto alto nel quale era però difficilissimo individuare la porta d'ingresso. Una scritta sibillina lasciava intendere che oltre quell'ostacolo tutti i perché sull'origine della felicità avrebbero trovato risposta. I due amici ne furono subito colpiti e iniziarono a percorrere il perimetro del muro di cinta attentissimi, alla ricerca dell'ingresso. Si accorsero che in un punto del muro vi era un curioso andirivieni di formichine, quindi pensarono che seguendo quella sottile striscia in movimento sarebbero arrivati ad un punto d'accesso. Questo «ingresso» era nascosto da un fitto intreccio di vite americana che donava al muro un aspetto simile alle coperte delle nonne, quelle in cui sui quadratoni di lana si applicano fiori magicamente sbocciati dallo sferruzzare veloce delle mani delle nonnine. Con le loro piccole mani Lino e Lina dovevano districare quell'intreccio naturale alla scoperta della crepa da cui passare.

La crepa nel muro in effetti c'era e per entrarci i due piccoli pionieri dovettero chinarsi e procedere chinati per un tratto che sembrò lunghissimo, durante il quale il colore delle pareti interne mutava nelle sfumature dell'arcobaleno, rendendo a tratti visibile il pavimento di pietra lavica. Finalmente sbucarono in una specie di androne al termine del quale un grosso portone faceva immaginare l'ingresso in una città. Il portone era così maestoso che il solo pensiero di aprirlo fece sudare Lino, che nel suo zainetto non aveva certo bacchette magiche. A Lina venne in mente di sostare lì per un po', in attesa che passasse qualcuno in grado di aiutarli. In effetti nel giro di poco tempo, dei passi ben cadenzati lasciavano intuire l'arrivo di un gruppo di persone. Arrivarono alcuni ragazzi, un gruppo ben nutrito, a colpo d'occhio una dozzina, ognuno vestito di un colore diverso, tanto che allineati facevano pensare ad una confezione di colori a matita, quelle che solo a vederle ti vien voglia di disegnare. Loro però non sembravano nemmeno accorgersi dei piccoli pionieri. Lino e Lina dovettero sbracciare e fare versi per essere notati, a costo di sembrare strani strani.

Finalmente uno di loro, di verde vestito, rivolse loro lo sguardo e fermò il gruppo per ascoltare gli impavidi bambini. Dalla posizione di Lino e Lina tutti questi ragazzi e ragazze fermi e allineati davanti a loro, incutevano un certo timore, che presto si trasformò in rispetto quando il ragazzo di verde vestito, che scoprirono chiamarsi Charlie, si rivolse a loro con tono amichevole ed un'espressione solare: «cos'è tutto questo sbracciare, volevate per caso salutarci!».
Lino e Lina rimasero un po' perplessi, ma si ripresero subito e insieme spiegarono che era loro desiderio varcare quel grande portone. I ragazzi si guardarono con occhi incuriositi e poi scoppiarono a ridere.
«Siete proprio buffi! Verrete con noi e vi faremo da guida». I due bambini batterono un cinque di gran soddisfazione e si misero in coda all'esercito delle matite colorate.
Il portone si aprì lentamente e davanti ai loro occhi comparvero alcune piante mai viste prima che componevano un giardino i cui cespugli assumevano forme di animaletti, un ruscello ogni tanto interrompeva i loro passi.
«E adesso, avete qualche altra richiesta?». Domandò il ragazzo vestito di verde. I due amici si guardarono e sapendo che non era facile farsi intendere, provarono a raccontare del loro desiderio di arrivare all'origine di tutti i sorrisi, all'origine della felicità: Forse si trattava di un luogo o di qualcosa di simile, dissero ai loro ospiti. Il ragazzo vestito di rosso chiese loro se veramente pensassero che il percorso verso la felicità consistesse in un lungo elenco di cose fatte per benino. I ragazzi matita scoppiarono a ridere, ma non per prendersi gioco dei bambini, ma per un candore che non pensavano di trovare.
La fronte di Lino e Lina lasciava intendere che si stavano arrabbiando.
«Piano piano, non cedete alla collera!» disse uno dei ragazzi, precisando che loro solitamente prendevano le cose alla leggera, ma non per questo non facevano sul serio!
«A noi piace stare con voi per esempio, è una cosa che ci fa stare bene, ed infatti abbiamo fatto una risata, cosa vuol dire secondo voi questo?».
Per i nostri viaggiatori questo non era sufficiente per spiegare la felicità. I ragazzi non intendevano al momento mettere a dura prova le convinzione rocciose dei loro piccoli amici, occorreva tempo per vedere, conoscere, riflettere, dormire, nutrirsi di tutto quello che faceva bene.

Nel Regno delle Cose Ben Fatte, ci si svegliava la mattina al suono dei rumori più disparati, dal soave cinguettio allo sbattere dei portoni, passi veloci, saltelli, ognuno se ne andava veloce verso la propria occupazione, ma Lina si era immaginata che nel fare questo ogni persona avrebbe curato di non tralasciare nulla. Ogni cosa doveva avere il suo posto, la sua funzione, ogni persona il suo ruolo e saper rispondere in modo adeguato ad ogni richiesta. Invece lì, di tutta questa idea non vi era traccia. Sì, le cose avevano più o meno un loro osto, una zona di «richiamo» in cui pur senza la certezza matematica,ogni abitante sapeva che avrebbe potuto trovare ciò che faceva al caso suo. Ogni persona aveva un ruolo più o meno ufficiale, cioè alcuni ruoli erano assegnati dal Comitato Generale e riconosciuti da un stipendio, altri ruoli erano arrivati per destino e riconosciuti dalle storie dei Sommi.

I Sommi erano personaggi che sommavano tante vite insieme, tante esperienze. Si potevano riconoscere in quanto i loro capelli crescevano arrotolandosi sul capo come un turbante che aumentava di volume con il passare degli anni senza però aumentare di peso. Lino e Lina osservavano tutto questo vivere intorno ad essi ed erano estasiati, un po' dubbiosi ma si sentivano leggeri come se condotti su una piuma d'oca.

Nel Regno delle Cose Fatte per Star Bene, la mattina iniziava al suono dei rumori più disparati, cui nessuno sembrava dar peso mentre si preparava per recasi al luogo di lavoro. Era consuetudine rispettare un rito per ognuno diverso, fatto di piccole azioni o parole che permettevano di uscire di casa, seppur in velocità, ma con il sorriso sulle labbra. Ci si salutava ogni volta che era possibile, si faceva del proprio meglio per completare l'attività quotidiana e a nessuno veniva in mente di fare di meno perché a nessuno veniva chiesto di fare d più.

Lino e Lina cominciavano a capirci poco a questo punto della loro conoscenza del Regno delle Cose Ben Fatte. Infatti, più che cose fatte bene, loro osservavano cose fatte per stare bene! Possibile che la questione fosse in questo cambiamento di prospettiva? Bizzarro, pensava Lina, ci si impegna a fondo per fare le cose fatte bene, anni e anni di insegnamenti, quando poi sembra che a far le cose per star bene, riescano anche meglio! Come se le avesse letto, Lino esclamò: «Certo che è una cosa grandiosa! Chissà se si può applicare anche fuori di qua!».

Si incamminarono dapprima silenziosi e poi cominciando a confrontarsi su ciò che avevano visto. Incontrarono i ragazzi pieni di colore che indicarono loro la via più semplice per uscire dal Regno. Adesso sembrava semplice perché sapevano ciò che prima ignoravano e cioè che ogni cosa che facciamo può anche non esser fatta alla perfezione ma farci stare bene lo stesso. Mano a mano che si avvicinavano alle loro case sentivano di essere più grandi, di essere cresciuti, ma di essere più leggeri, come la farfalla rispetto al bruco, come i capelli dei Sommi che crescono di volume ma restano leggeri. Sarà l'esperienza, quella strana avventura che ti fa dire: «quella volta mi sono comportato così ed ho imparato che...».
Ad ognuno è data la possibilità di completare ciò che altri hanno iniziato.
Ad ognuno è data possibilità di iniziare qualcosa a cui altri daranno seguito.
A tutti è dato il privilegio di mantenere ciò che ricevono.

Maria Grazia Leo


Maria Grazia Leo è nata nel 1967 e abita a San Giorgio in Salici da oltre venti anni. Ha un marito e due figli, ed è psicologa e psicoterapeuta. Suoi contributi professionali sono presenti in «Tra genitori e figli: la tossicodipendenza» [Ed. Masson, 1998] e «Attaccamento ed età adulta» [Raffaello Cortina editore, 1999].
Appassionata di letture, Maria Grazia Leo cerca e trova tra le pagine dei libri le parole che cerca, risposte, spunti per riflettere. Dopo una fase in cui scriveva per non dimenticare cose importanti, ha sentito l'esigenza di scrivere per capire meglio, per condividere e fare un regalo a se stessa e ai figli.

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